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Con la delicatezza di chi pone il prossimo sempre davanti a tutto, persino davanti alle proprie ineluttabili necessità,
Giuseppe Bianco ci conduce attraverso la nostra stessa Storia, ricordandoci, come fece Albert Schweitzer, che
«Quello che tupuoi fare
è solo una goccia nell’oceano,
ma è ciò che dà significato alla tua vita».
Un alpino, un combattente per la vita nato nel 1909, raggiunge i novant’anni d’età. È in questo momento che decide di ripercorrere le tappe di un secolo intero: il Novecento. E il Novecento è la sua esistenza, la sua memoria.
Decenni spietati: vissuti tra Martiniana Po e Piobesi, tra il Cuneese e il Torinese, all’ombra della montagna. Sì, all’ombra «della montagna», al singolare, perché la montagna è qualcosa che è entrato nei giorni di quest’uomo, e che mai più se n’è andato: l’estrema fatica, il dolore nei campi e nei boschi; l’inverno senza una stufa; un matrimonio contrastato; la perdita di un figlio giovane; la guerra; la povertà da cui si teme – con orrore – di non poter fuggire. Mai.
Poi il riscatto.
Una serenità conquistata spaccandosi le mani in fabbrica, tenendo unita la famiglia: ecco i figli, dono di Dio. Ecco la virtù di reagire con generosità alla prepotenza sociale, ecco la capacità di fare del cambiamento – di casa, di lavoro, di orizzonte – l’opportunità per sorridere alla vita.
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